Archivio mensile:Agosto 2012

Intervista a Danilo Rea – «Stelle di stelle la registrammo al buio…»

Incontrare Danilo Rea a Varsavia, avere l’occasione di fargli un’intervista e di potergli consegnare una copia del mio libro su Oltre è una di quelle cose che avrò per sempre il piacere di ricordare e di poter raccontare.

Vi invito perciò a guardare l’intervista che ho realizzato, in cui Danilo Rea racconta in che modo è avvenuta la registrazione di Stelle di stelle di Claudio Baglioni, a cui ha partecipato registrando la parte di pianoforte. L’intervista è stata realizzata lo scorso 7 luglio, prima di un concerto in trio con Ares Tavolazzi ed Ellade Bandini. Qui sotto trovate il video seguito dalla trascrizione dell’intervista. Chi fosse interessato, può anche vedere la seconda parte dell’intervista, sul concerto che Danilo Rea ha tenuto a Varsavia.

 

Ciao a tutti, siamo qui con Danilo Rea: è un grande piacere averti con noi oggi. Io avrei alcune domande per te e la prima, parlando di Oltre di Claudio Baglioni, è naturale: come hai conosciuto Claudio?

«Proprio in occasione del disco. Ero molto amico di Pasquale Minieri, che stava producendo tutta la realizzazione del cd, e lui mi ha chiamato a Bath perché evidentemente avevano bisogno di un pianista. Io sono salito, e quindi è stata la prima volta che ho conosciuto Claudio, proprio in terra inglese».

In Oltre tu hai suonato in Stelle di stelle: come ricordi quell’esperienza?

«Molto bella, perché fu un momento molto intimo, nel senso che venivamo da una settimana di stress, diciamo: non si riusciva a trovare una via interpretativa alle canzoni di Baglioni, ed eravamo tutti in stallo, praticamente. A quel punto era molto tardi, ed io e Pino Palladino decidemmo di fare una prova su Stelle di stelle. Mi ricordo che registrammo al buio, fu tutta una cosa… e venne molto bene, insomma, credo che sia venuto un brano molto ispirato. Poi arrivò Claudio, gli piacque subito, e ci mise la voce. Poi, in un secondo tempo, ci cantò sopra anche Mia Martini».

Ti ricordi in quale studio avete registrato?

«Lo studio in cui abbiamo registrato era a Bath, che è lo studio di Peter Gabriel, e poi c’è stato qualche rifacimento quando Claudio decise appunto di fare intervenire anche Mia Martini: abbiamo modificato leggermente il brano, ma insomma… qualche battuta di pianoforte in più al Forum di Roma, lo studio famosissimo dove normalmente incidono le grandi orchestre».

Quindi la decisione di fare intervenire Mia Martini in quel brano è avvenuta in un secondo momento?

«A mio parere sì, poi io e Pino Palladino in realtà facemmo quella proposta senza sapere se la seconda voce – la voce aggiunta – sarebbe stata quella di Mia Martini. Probabilmente è avvenuta dopo, io adesso non ci giurerei, ma insomma, da come sono andate le cose…».

Quindi hai conosciuto Mia Martini? Che ricordo hai di lei?

«No, non l’ho conosciuta. L’ho conosciuta in un’altra occasione, perché lei suonava al festival jazz di Atina con Maurizio Giammarco, il sassofonista, e avevano un gruppo in cui cantavano le sue… era uno dei primi esperimenti che si faceva allora di musica pop d’autore e jazz, in questo mix».

Nell’analisi che io ho fatto di Stelle di stelle, che è contenuta in questo libro, io ho messo in evidenza l’utilizzo in questo brano di convenzioni stilistiche tipiche del lamento seicentesco: cioè, praticamente, il fatto che c’è l’utilizzo esteso di seconde minori, e c’è un basso che ha un andamento discendente che copre un ambito di quarta giusta, come era proprio nella prassi del lamento barocco. Siccome ho un’esperienza accademica ho notato questa cosa analizzando il brano, e poi mi sono chiesto: “Ma chissà se Claudio questa cosa l’ha pensata, l’ha fatta intenzionalmente, oppure è frutto di un istinto musicale suo? Che cosa ne pensi tu?

«Lui ha un istinto musicale formidabile. Da questo punto di vista è imbattibile. Ha sempre una soluzione, un’alternativa… anzi: più di un’alternativa, ogni volta che deve decidere una strada. In questo è veramente incredibile, molto creativo. Come tu avrai senz’altro notato, è molto legato anche alla tradizione, quindi lui si rifà certamente a dei canoni più antichi sicuramente della sua età! Per cui… Lui è un conoscitore di musica, fondamentalmente: conosce la musica classica e si rifà alla musica classica, poi non so se lo fa d’istinto o se lo fa con… credo che sia più istintiva, la cosa. Più che altro se ha un riutilizzare delle cose sentite in maniera più moderna… Insomma, è un lavoro che facciamo un po’ tutti, no? Anche nel jazz, se ti piace qualche cosa, poi viene riciclata in un modo che praticamente diventa personale. Quindi credo che comunque, al di là del suo istinto formidabile, sia proprio un lavoro d’istinto legato a ricordi, a conoscenze armoniche che gli sono sicuramente familiari, e venute da un profondo ascolto della musica».

Un’ultima domanda: avendo collaborato spesso con Claudio Baglioni, che cosa ti ha lasciato questa lunga collaborazione con lui, dal punto di vista umano e dal punto di vista professionale?

«Dal punto di vista umano molto, perché siamo tutt’ora in contatto. Poi, dal punto di vista musicale – ripeto – ho lavorato con tanti musicisti, cantanti, cantautori, e devo dire che lui è sicuramente ad un altissimo livello: uno dei cantanti con più competenza musicale che io abbia mai conosciuto. Per cui mi ha lasciato molto, anche perché poi il mio utilizzo all’interno della band era piuttosto libero: in un certo senso Claudio rispettava il fatto che io tutto sommato fossi un improvvisatore e quindi, per quanto limitato, in ogni caso non ero molto in gabbia perché, sai, nella musica pop, poi, una volta registrata una cosa, quella rimane e guai a chi la tocca. Questo non è stato il caso del mio rapporto con Baglioni: suonavo piuttosto liberamente, e questo è comunque un grande privilegio in quel tipo di musica e anche una maniera illuminata di condurre un gruppo, secondo me».