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A fare di Oltre un album particolare nella discografia di Claudio Baglioni contribuisce senz’altro una canzone come questa, densa com’è di innovazioni sia nel linguaggio utilizzato che nella musica. Ad arricchire la componente musicale interviene il cantante senegalese Youssou N’Dour, massimo rappresentante della musica popolare senegalese nota con il nome di Mbalax, di cui lui è stato il modernizzatore. Non bisogna dimenticare, al proposito, quanto già detto da Pasquale Minieri nel corso della sua intervista, e cioè che la maggior parte delle registrazioni di Oltre sono state effettuate nello studio di Peter Gabriel, proprio nello stesso periodo in cui Peter Gabriel – in un’altra sala dello stesso studio – stava registrando Passion, colonna sonora per il film L’ultima tentazione di Cristo, in cui compariva anche Youssou N’Dour. La pubblicazione di Passion (1989) rappresenta un importante momento per la nascente World Music, ed è probabile dunque che le influenze etniche presenti in Le mani e l’anima dipendano proprio dall’atmosfera musicale respirata negli studi di Peter Gabriel.
Ad ogni modo, l’intervento di Youssou N’Dour in questo brano è stato registrato in altro contesto, come il musicista stesso ricorda in questa testimonianza: «Ho incontrato Claudio in Italia, ma non ricordo bene chi me lo ha presentato. Abbiamo suonato in studio di registrazione per tutta la notte, a Roma, e lui mi ha lasciato la massima libertà nell’interpretare il suo brano. Io ho solo cercato di seguire la melodia e portare il mio contributo. Ho un ricordo molto buono di lui, che è oltretutto una persona musicalmente molto preparata»[1].
Quanto già detto con dovizia di particolari da Pasquale Minieri a proposito del processo di lavorazione del disco, trova qui conferma nel racconto di Youssou N’Dour, che dice di aver registrato la sua parte a Roma, e dunque in una fase successiva a quella della registrazione delle basi, che era avvenuta invece negli studi Real World di Peter Gabriel, a Bath.
Venendo alla canzone vera e propria – per entrare più nello specifico – si può notare come già la struttura stessa del brano sia particolare, e del tutto simile a quella già vista in Stelle di stelle e Acqua dalla luna. Anche qui, infatti, c’è una struttura che una volta giunta a metà del brano si ripete uguale nella seconda parte, eccezion fatta per introduzione, coda, e qualche altra leggera differenza di cui si dirà più avanti. Lo schema, comunque, è ripetuto esattamente, nella seconda parte come nella prima.
Intro : L’introduzione in Mi minore anticipa il giro armonico del ritornello (C), e comincia con una parte strumentale in cui chitarra, tastiera e lievi tocchi di batteria suggeriscono un clima evocativo di Africa, e in cui è soprattutto il ritmo irrequieto del triangolo, insieme al suo timbro penetrante, a trasmettere fin da subito una sensazione di tensione e agitazione. Poco dopo, il coro fa il suo ingresso (insieme al basso) intonando la parte vocale che sarà poi presente come controcanto nel ritornello. Il tipo di vocalità conferma senz’altro il presentimento di Africa lasciato intuire dalla parte strumentale.
A – AI : La strofa passa ora in tonalità di Si minore, mentre l’Africa misteriosa, evocata sin dall’introduzione strumentale, compare già dall’inizio del testo cantato attraverso le parole “Che cos’era”, immediatamente seguite da percussioni che sembrano dar manforte a quell’interrogativo un po’ inquieto. Le stesse parole (nuovamente marcate dalle percussioni) ritorneranno poi all’inizio della seconda parte, quando l’intera struttura del brano si ripeterà uguale. In entrambi i casi, tuttavia, si tratterà di un falso allarme per il protagonista della canzone: solamente “un vigore denso nulla” prima, e “una vibrazione nuda”, poi. Questo incipit, così particolarmente caratterizzato da un momento di tensione, sarà un leitmotiv ricorrente in tutto il brano attraverso la seguente figura melodica, su cui sono intonate appunto le parole “Che cos’era”:
In forma più o meno variata, questo frammento melodico ritornerà più volte a rinnovare e mantenere alta la tensione nel corso di tutto il brano, con la sola eccezione del ritornello, che si basa invece su un altro tipo di emozione. Il testo è interamente costituito da un parallelismo tra varie parti del corpo e alcuni elementi naturali che caratterizzano l’Africa, in modo da suggerire una fusione totale tra uomo e territorio.
B – BI : La stretta corrispondenza fra uomo e natura continua anche nella sezione successiva, che anche musicalmente non presenta grandi differenze. La melodia, infatti, è molto simile a quella di A, pur se non del tutto uguale. Anche qui c’è il leitmotiv che induce tensione, ma in questo caso è leggermente modificato, perché viene cambiata l’altezza delle note mantenendo invece la figurazione ritmica, a cui viene aggiunta una nota in più. Questo frammento melodico acquista in tal modo maggiore velocità:
Soffermarsi su questo dettaglio non è un’inutile pignoleria, visto che ad esso vengono associati, in più occasioni, dei testi che comunicano proprio il senso di velocità: “scese rapide”, “come un fulmine” e – in una successiva ripetizione di BI – “e scattarono”. Insomma, il concetto di velocità è espresso sia con le parole che, ad un livello più profondo, con la musica che intona velocemente quelle parole. Come ultima annotazione, a proposito di questa sezione musicale, occorre notare la melodia dissonante e la presenza di una progressione modulante (sia in B che in BI, ma partendo da accordi diversi) che musicalmente trasmettono la sensazione di instabilità, di incertezza e di paura in un luogo misterioso come può essere l’Africa descritta in questa canzone. Il preoccupato “Che cos’era” iniziale era solo il primo segnale di qualcosa che si sviluppa coerentemente in tutta la canzone, anche attraverso dissonanze e progressioni modulanti che comunicano incertezza.
C – CI : Con il passaggio alla tonalità di Mi minore si raggiunge il momento culminante della canzone, in cui viene lanciato un grido di aiuto: “Sfamatemi e liberatemi / ridatemi le mani e l’anima / sfamatemi e dissetatemi / lasciatemi le mani e l’anima”. Il che è come dire: ridatemi corpo e anima. Le mani, come tutte le altre parti del corpo nominate nella canzone, sono il dettaglio di un’unità più complessa che è il corpo nella sua interezza. La stessa cosa si può dire per i vari elementi naturali richiamati in tutta la canzone: parti di un’Africa che ora assume la forma di anima del mondo intero. L’intera canzone è dunque dominata dalla figura retorica della sineddoche, che consiste nell’uso in senso figurato di una parola al posto di un’altra, mediante ampliamento o restrizione di senso. In questo caso specifico la sostituzione riguarda una parte per il tutto: mani ed elementi naturali per corpo e Africanima. Il coro che compare in questa sezione, cantando i versi “Che vù campà”, “Che vù parlà”, e “Che vù tornà” (poggiati su una melodia dal ritmo africano), si riferisce al modo in cui vengono chiamati in modo dispregiativo i venditori di piccoli oggetti sulle spiagge: quei vucumprà provenienti da un’Africa genericamente vista solo come terra di sottosviluppo. Il grido di aiuto in questa parte della canzone rivendica il diritto degli africani di non essere considerati dei vucumprà, e di riconoscere all’Africa il ruolo che le spetta di madre e anima del mondo intero.
Ripetizione di A – AI – B – BI – C – C – CII : Dopo il ritornello, come detto sin dall’inizio, l’intera struttura vista fino ad ora si ripete nuovamente, con gli stessi significati e con l’unica differenza dell’ulteriore aggiunta di CII. Sulla parola “africanima” cantata da Baglioni alla fine, viene ripresa la melodia del coro iniziale.
Coda – Coro: Il brano si conclude con l’assolo vocale di Youssou N’Dour, che sembra dar voce a un’Africa troppo spesso senza voce.
[1] Dichiarazione rilasciata da Youssou N’Dour il 13 settembre 2009, in occasione di un nostro incontro avuto a margine di un suo concerto a Varsavia.
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